Galleria Collezione Esposizioni Contatti

Un dipinto di
IPPOLITO CAFFI
ed una raccolta di vedute di Roma
19 novembre - 23 dicembre 2007


Victor-Jean NICOLLE (Parigi 1754-1826)
L'obelisco di Piazza San Pietro

Non riesco ancora a rendermi conto di essere a Roma e quando ieri mattina presto, in uno splendido luminoso chiaro di luna sotto un cielo azzurro cupo, attraversai un ponte con delle statue e il corriere gridò: «Ponte Molle», tutto mi parve come un sogno…
Felix Mendelssohn-Bartholdy, Roma, 2 novembre 1830

Allestire una mostra di dipinti dell’ Ottocento è ormai diventato un puro atto di fede. Ricordo, con qualche rammarico e quasi una punta di fastidio, come negli anni Ottanta (del Novecento of course ma questo non fa che peggiorare la situazione) nessun antiquario – con la maiuscola - avrebbe davvero preso in seria considerazione l’ipotesi di una mostra sul tema se non fosse stato in grado di proporre almeno un centinaio di opere magari dividendole, anche per ragioni di spazio, tra quelle esposte e quelle raccolte in cartelle: dipinti acquerelli, tempere, disegni. Alla scultura, parlo sempre di Ottocento, si badava poco o punto, fatti salvi i soliti originali o precursori.
Ho esordito col dire mostre= atto di fede: e quelle pregresse di Francesca Antonacci lo sono sempre state e tale è pur questa che non vuole percorrere canali già ampiamente illustrati ma propone, con la pudica consapevolezza del proprio gusto, un personale vagabondaggio per immagini dipinte attraverso Roma, il cui fascino, malgrado tante fredde disillusioni e disperanti controindicazioni, resta immutato in chi la ama. Ed ecco allora che le ventinove “carte” – acquerelli disegni tempere – e i nove dipinti ad olio sono il prodotto un po’ sentimentale (un po’ materiale, why not?) di scelte selettive operate non tanto per assecondare un gusto diffuso bensì per le concordanze con le proprie personali propensioni sentimentali e l’amore per certi luoghi che possono aver lasciato un’impronta più duratura nella memoria. Credo infatti che questa esposizione voglia riferirsi piuttosto ai luoghi - che diventano qui categorie dello spirito – che agli autori dei dipinti che pure esistono, valgono e sarebbe sleale astenermi dal riferirne: a partire da François Keiserman, l’irascibile e dispotico acquerellista svizzero allievo di Abraham Louis Rodolphe Ducros, ormai assurto a star anche sotto il profilo critico dopo la mostra di Losanna e quella alla recente Biennale fiorentina: di suo c’è qui in mostra una “immortale” ripresa di Roma da Monte Mario. Victor-Jean Nicolle è acquerellista raffinato con propensioni a tratti miniaturistiche, e adatto a palati difficili e “viziati”. Delle varie sue opere una in particolare si prende tutto il mio cuore di Romanista: una veduta, piuttosto un documento, di quella che era la disposizione originaria di piazza Venezia con il palazzo e il palazzetto omonimo e, a sinistra, quello Torlonia. Tra questi due edifici c’è (intendo nell’acquerello) via della Ripresa dei Barberi dove, aiutandosi con un gran tendone bianco che ne sbarrava il passaggio, i “barbareschi” si adoperavano a “riprendere” appunto i cavalli “barberi” che giungevano dopo aver galoppato percorso a folle carriera lungo il Corso nell’ultimo giorno del Carnevale romano: quella via del Corso che Stendhal giudicava “forse la più bella strada dell’universo” Tutto questo non c’è più, le austere fabbriche abbattute dal piccone o mutate di posto: tanto ce ne sono a iosa…! dovette essere il pensiero dei maestri picconatori!
Non poteva mancare certo Ippolito Caffi. L’artista bellunese, da tempo adottato dal “collezionismo” romano, è qui rappresentato da una “religiosa” veduta di piazza San Pietro, quasi un fondo oro. Luigi Rossini, esimio ritrattista all’acquaforte di Roma e Napoli nel primo Ottocento, ha due grandi e rari acquerelli che hanno per protagonista la Basilica di Massenzio. Ancora un pastello divisionista del “nostro” Arturo Noci. Nel caso delle tre vedute di Roma del francese Louis-François Cassas, provenienti dal suo album in-folio con vedute anche della Sicilia e della Grecia, mi permetto di lasciare la parola a Goethe: “I disegni di Cassas sono d’una finezza straordinaria” (15 settembre 1787). Sette fogli di questo calligrafico “prospettico” erano presenti due anni fa nella mostra Imago Urbis Romae ai Musei Capitolini.
Ma non mi sembra né opportuno né leale svelare tutte le “sorprese” che la curatrice ha riservato per i propri estimatori. Posso solo ribadire che la sua è una mostra da vedere, da gustare (acquistare, perché no?) e che resterà nella comune memoria per un bel po’ e per tanti aspetti.

Novembre 2007 Pier Andrea De Rosa

Catalogo