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Galileo Chini
(1873 - 1954)

Danzatrice siamese, 1911

Olio su tela, 178 x 112

Fino al 1910 Galileo Chini aveva integrato alla
sua attività di pittore quella di affreschista e ceramista, partecipando a un gusto fortemente internazionale. In pittura egli aderisce fin dagli esordi al divisionismo, coniugandolo con uno spirito nettamente simbolista, in una direzione espressiva e stilistica tipicamente italiana, impostata dai più anziani Segantini, Pellizza da Volpedo, Previati e dall’amico fraterno Nomellini, gli artisti allora più ricercatamente moderni. Chini propone una versione originale di quel linguaggio, che rappresentava allora il mezzo espressivo “moderno” per eccellenza, filtrandolo attraverso una pennellata libera e filamentosa: antinaturalistica e riflessiva, l’applicazione del divisionismo era un filtro che impediva naturalmente, strutturalmente, qualsiasi accento veristico o accademico, asserendo il valore concettuale e non puramente rappresentativo dell’opera d’arte.
Nelle opere siamesi il divisionismo viene ora abbandonato, ora ripreso come mezzo di accensioni quasi gestuali del colore. Uno dei temi che più lo affascinano è quello delle danzatrici orientali, oggetto di molti suoi dipinti dell’epoca, immerse in atmosfere irreali, isolate in una solitudine sensuale e misteriosa.