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JOHANN WENZEL (VENCESLAO) PETER
Sulle orme di Giocchino Murat

(Roma, Palazzo Venezia - novembre 2010)

nell'ambito di

ARTE E COLLEZIONISMO
A PALAZZO VENEZIA
 

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Johann Wenzel (Venceslao) Peter
(Karlsbad, 1745 - Roma, 1829)
Un leone e una tigre che si disputano un daino
Olio su tela, 81 x 103 cm. - 1809

 

Il dipinto, inedito, è un rinvenimento di grande interesse per la ricostruzione della parabola artistica del pittore boemo naturalizzato romano Venceslao Peter.
Questa tela è una versione di più piccole dimensioni dell’opera di analogo soggetto esposta tra novembre e dicembre del 1809 alla celebre mostra allestita nelle sale del Campidoglio dalle autorità napoleoniche per salutare l’elezione di Roma a città imperiale, subito dopo l’annessione degli Stati pontifici all’Impero, il forzato allontanamento di papa Pio VII Chiaramonti e la cessazione del potere temporale della chiesa.
Il dipinto andato alla mostra del 1809, “grande al vero” come ricordano le fonti dell’epoca(1), fu acquistato dal re di Napoli Gioacchino Murat, recatosi in Campidoglio il 14 di novembre - insieme al presidente della Consulta e governatore di Roma generale Sextius-Alexandre-François Miollis, ad alcuni suoi generali e ai membri della commissione incaricata della scelta delle opere da presentare - per visitare l’esposizione che pochi giorni dopo si sarebbe inaugurata.
Sulla visita di Murat in Campidoglio un anonimo articolista del “Giornale Romano” del novembre 1809 scrisse che “La S. M. richiese” notizie sugli “oggetti esposti e ne volle particolare nozioni.
Tutto esaminò minutamente, e mischiando una lode opportuna ad un premio generoso, accrebbe alle arti di Roma la gloria d’una sua scelta”.
Il dipinto di Peter attualmente disperso - esposto nella medesima sala che ospitava il Ritratto di Ida Brun di Bertel Thorvaldsen e la grande statua sedente della Sardegna scolpita da Felice Festa per il monumento funebre del duca di Monferrato - fu immediatamente trasportato a Napoli, insieme alle opere di altri tredici artisti acquistate da Gioacchino. Collocato a Palazzo Reale, dove nel 1812 fu ammirato dalla viaggiatrice francese Amélie Odier(2), il dipinto vi rimase ben oltre il 1815, anno della morte di Murat e dell’al lontanamente da Napoli di sua moglie Carolina Bonaparte dopo sette anni di regno (1808-1815)(3).
Reinsediati i Borbone sul trono di Napoli, il dipinto entrò a far parte della ricchissima raccolta d’arte del principe Leopoldo di Salerno, terzogenito di re Ferdinando I, e a Palazzo Reale rimase fino al 9 settembre del 1854 quando, valutato duemila ducati (cifra considerevole), fu battuto all’asta che si tenne nelle stanze del Real Museo Borbonico di Napoli (oggi Museo Archeologico Nazionale) per fare fronte, insieme alla vendita del resto della collezione, ai cospicui debiti che il principe aveva accumulato(4). Da allora il dipinto risulta irrintracciato.
In questa prospettiva la tela di Peter qui pubblicata assume un interesse ancora maggiore; soprattutto dovendo ritenere che, con ogni probabilità, fu commissionata da uno degli esponenti dell’entourage che accompagnò a Roma Gioacchino Murat in quei giorni. La partenza dell’opera di Peter per Napoli e dunque la sua definitiva scomparsa dallo scenario artistico romano, insieme alla prestigiosa provenienza napoletana dell’opera qui illustrata e alla considerazione che alcun soggiorno del pittore boe mo nella capitale partenopea è documentato, data quasi con precisione la sua esecuzione e testimonia per via indiretta la committenza del di pinto da parte di uno degli esponenti dell’ambito murattiano che fu a Roma con Gioacchino e che poi con questi si dovette spostare a Napoli, do ve il dipinto poté essergli verosimilmente spedito.
Un dipinto simile a questo qui illustrato, ma con la sostanziale variante dell’assenza del daino, si conserva presso i Musei Vaticani(5).
Del resto, per tutta la sua lunga carriera, Peter ebbe sempre una committenza di grandissimo prestigio(6). Fu il pittore animalier più celebre e ricercato della Roma di Pio VI Braschi e di Pio VII Chiaramonti, tra l’ultimo quarto del Settecento e i primi venti anni dell’Ottocento.
Già l’Elenco dei più noti artisti viventi a Roma - fonte assai preziosa per gli studi sulle arti romane di fine ’700 - steso nel 1786 dal pittore e critico d’arte tedesco Halois Hirst (a Roma dal 1782 al 1796) documentava l’alta considerazione in cui sin da allora il pittore era tenuto presso la comunità artistica della capitale pontificia(7).
Nel suo elenco Hirst fa riferimento alle pitture murali e ai dipinti su tela che Peter, prediletto dal principe Marcantonio IV Borghese, aveva realizzato nell’ambito dei lavori di decorazione pittorica e plastica che formarono il nuovo complesso ornamentale della Casino Nobile di Villa Borghese a Roma. L’impresa, avviata dal principe Marcantonio IV a partire dal 1775, diretta dall’architetto Antonio Asprucci, diede vita in pochi anni ad un esteso e prestigioso insieme artistico, fitto di rimandi eruditi e di allusioni tematiche volte a celebrare la casata dei Borghese e la straordinaria collezione di sculture antiche e moderne ivi raccolte(8). Tra il 1776 e il 1777 Peter decorò le pareti del grande salone d’onore della palazzina (il cui soffitto era con temporaneamente affrescato da Mariano Rossi con Romolo accolto in Olimpo da Giove, allusivo alla nobile genia del principe ereditario Camillo, il figlio di Marcantonio nato nel 1775) con una mirabile serie di ben 162 animali, tutti diversi, dipinti ad affresco in modo estemporaneo, senza cioè alcun modello grafico ma condotti dopo approfonditi studi dal vero, tra gli arabeschi e le grottesche affrescate sulle medesime pareti in un momento immediatamente prece dente dal pittore ornatista Pietro Rotati. Mentre diversi dipinti ad olio su tela di soggetto animalier, molti dei quali oggi dispersi, furono eseguiti per decorare i sovrapporte di alcune stanze della palazzina(9).
Trasferitosi definitivamente a Roma nel 1774, nei cinquant’anni successivi (fino alla morte sopraggiunta nel 1829) il boemo Peter, già dagli anni ottanta artista di grande successo proprio per le sue apprezzate scene di lotta tra animali, fu coinvolto nelle più significative imprese artistiche che in quel lungo periodo si svolsero nella capitale pontificia. Oltre ai lavori per il Casino Borghese, prese parte negli stessi anni alla decorazione del Salone d’Oro di Palazzo Chigi, del Gabinetto Nobile di Palazzo Altieri (1789-1790) e fu nell’équipe di pittori che su com missione della zarina di Russia Caterina II e guidata dal fiemmese Cristoforo Unterperger riprodusse a grandezza naturale le Logge Vaticane di Raffaello per il palazzo d’inverno dell’Er mitage(10). Mentre dai suoi dipinti di genere animalier furono tratti negli anni diversi modelli grafici tradotti a mosaico minuto dallo Studio del “Musaico della Reverenda Fabbrica di San Pietro” in Vaticano e dalle numerose botteghe di “mosaico in piccolo” attive a Roma. Parte del repertorio figurativo adottato a modello dallo Studio Vaticano negli ultimi anni del XVIII secolo deriva in effetti dai dipinti di Peter, così come alcuni pannelli musivi eseguiti da Cesare Aguatti o Giacomo Raffaelli oggi conservati nelle più importanti raccolte del mondo come la Gilbert Collection di Londra(11).
Nei primi anni del XIX secolo Peter acquisì fama e prestigio davvero internazionali. Nel 1830, pubblicandone il necrologio, la rivista tedesca “Kunstblatt”, definendolo “ritrattista degli animali”, ricordava come i suoi dipinti fossero an cora richiesti e spediti a “Napoli, Firenze, Milano, Praga, in Prussia, Russia, Spagna, Francia, America e, soprattutto, in Inghilterra”(12).
La stima goduta dall’artista presso la Curia Pontificia venne confermata nel 1831, quando Marianna Peter, la figlia del pittore ormai scomparso da due anni, si rivolse a papa Gregorio XVI per vendere alcune delle opere rimaste nello studio del padre. Il pontefice acconsentì all’acquisto di ben undici dipinti, im mediatamente trasferiti nelle raccolte dei Musei Vaticani.
Tra questi per mole e qualità spicca la monumentale tela di Adamo ed Eva nel Paradiso Terrestre. Il dipinto, una sorta di work in progress cui Peter lavorò per quasi mezzo secolo continuando ad aggiungere sempre nuovi animali come do cu menta un uccello ancora non finito collocato sul ramo di uno degli alberi, nello studio del pittore fino alla sua morte e contenente ben 240 animali diversi, doveva costituire una sorta di enorme catalogo di vendita dal vero su cui la facoltosa clientela romana ed internazionale del pittore poteva liberamente scegliere l’animale da doversi raffigurare nel dipinto che si intendeva commissionare all’artista(13).
Francesco Leone

 

Note

1 Cfr. Spiegazione delle opere di Pittura, Scultura, Architettura ed incisione esposte nelle sale del Campidoglio il dì 19 novembre 1809, Roma 1809. F. A. Visconti, Lettere nelle quali si dà conto delle opere di Pittura, Scultura, Architettura,ed Incisione esposte nelle stanze del Campidoglio lì 19 novembre 1809, in “Il Giornale del Campidoglio”, n. 71, Roma,11 dicembre 1809, pp. 289-290.

2 A. Odier, Mon voyage en Italie 1811-1812, a cura di D. Vaj, Genève 1993, p. 208: “Nous avons frémi devant un tableau […] qui représente le combat d’un lion et d’une tigre”.

3 Sulla raccolta di Murat vedi ora O. Scognamiglio, I dipinti di Gioacchino e Carolina Murat. Storia di una collezione, Napoli 2008; per il dipinto di Peter p. 123 e relative note.

4 C. Fiorillo, Una vendita all’asta nel Real Museo Borbonico (I), in “Napoli Nobilissima”, vol. XXVII, fasc. V-VI, settembre-dicembre 1988, pp. 161-172: p. 170, n. 14: “Leone che combatte con una tigre, di Peters, di palmi sette ed once nove per nove ed once nove, valutato per 2000 ducati”.

5 Cfr. S. A. Meyer, scheda in Maestà di Roma da Napoleone all’Unità d’Italia: Universale ed Eterna, Capitale delle arti, catalogo della mostra di Roma (progetto di S. Susinno, realizzazione di S. Pinto con L. Barroero e F. Mazzocca), Milano 2003, cat. III. 4, p. 127.

6 Sull’artista vedi ora l’imprescindibile lavoro di Alessandra Di Castro, Giovanni Venceslao Peter (1745-1829): il genere animalier nella Roma neoclassica, 2 voll., tesi di laurea, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, anno accademico 2006-2007. Ringrazio la dottoressa Di Castro per avermi concesso di consultare i materiali della sua tesi di laurea.

7 Cfr. S. Rolfi, S. A. Meyer, "L’elenco dei più noti artisti viventi a Roma” di Alois Hirst, in “Roma moderna e contemporanea. Rivista interdisciplinare di studi”, anno X, n. 1-2, gennaio-agosto 2002, La città degli artisti nell’età di Pio VI, numero monografico a cura di L. Barroero e S. Susinno, Roma 2002, pp. 241-261.

8 Sull’argomento cfr. I. Faldi, Galleria Borghese. Le sculture dal secolo XVI al XIX, Roma 1954; P. Della Pergola, Villa Borghese. Itinerari, Roma 1962; P. Mangia, Il ciclo dipinto delle volte. Galleria Borghese, Roma 2001; Villa Borghese. I principi, le arti, la città dal Settecento all’Ottocento, catalogo della mostra (Roma 2003 – 2004) a cura di A. Campitelli, Roma 2003.

9 Vedi F. Noack, Artisti nordici a Villa Borghese, in L’Italia e l’arte straniera, “Atti del X Congresso Internazionale di Storia dell’Arte in Roma”, Roma 1922, pp. 413-417: p. 416.

10 Vedi M. B. Guerrieri Borsoi, La copia delle Logge di Raffaello di Cristoforo Unterperger, in Cristoforo Unterperger. Un pittore fiemmese nell’Europa del Settecento, catalogo della mostra, a cura di C. Felicetti, Roma 1998, pp. 77-82; N. Nikulin, Le Logge di Raffaello all’Ermitage di San Pietroburgo, in Giovan Battista Dell’Era (1765-1799). Un artista lombardo nella Roma neoclassica, catalogo della mostra (Treviglio), a cura di E. Calbi, Milano 2000, pp. 29-39.

11 Cfr. J. Hanisee Gabriel, The Gilbert Collection: Micromosaics, with contributions by A. M. Massinelli, and essays by J. Rudoe and M. Alfieri, London 2000.

12 “Kunstblatt”, Necrolog, 1830, p. 191.

13 Cfr. G. Sacchetti, “Adamo ed Eva nel Paradiso Terrestre”. Di Venceslao Peter nella Pinacoteca Vaticana, in “Bollettino, Monumenti, Musei e Gallerie Pontificie”, XI, 1991, pp. 179-187.


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